Secondo uno studio pubblicato dall’ISTAT lo scorso 1° luglio 2024 (relativo ad un’indagine condotta con riferimento al biennio 2022-2023), sono circa 2 milioni e 322mila le persone tra i 15 e i 70 anni che hanno subito una qualche forma di molestia sul luogo di lavoro nel corso della loro vita; di questi l’81,6% sono donne (pari a 1 milione e 900mila). A queste si aggiungono le donne che hanno subito ricatti sessuali sul luogo di lavoro, pari a 298mila.
Oltre a fornire percentuali e statistiche che obbligano ad una riflessione, il rapporto dell’ISTAT accende l’attenzione su ulteriori fronti.
Stando ai dati raccolti, parrebbe che sia le donne che gli uomini con un titolo di studio elevato siano maggiormente esposti ad un rischio di molestia, mentre è indifferente il contesto – pubblico o privato – ove vengono agite.
Considerando la posizione ricoperta dalle vittime, mentre per gli uomini prevalgono coloro che ricoprono ruoli apicali, tra le donne sono più a rischio le operaie (16,4%), le impiegate ed i quadri direttivi (15%). Gli autori di molestie sono, nel caso di vittime donne, nel 10% dei casi capi e supervisori, pressoché esclusivamente maschi (il dato si assesta sul 4,2% nel caso di uomini, con indifferenza per il genere dell’autore delle molestie).
L’indagine ISTAT ci consegna poi una drammatica consapevolezza: sono pochissimi i casi di denuncia delle molestie subite sul luogo di lavoro.
Non solo: l’86,4% degli intervistati afferma che non c’è una persona nel contesto lavorativo a cui rivolgersi per denunciare o avere un supporto nel caso di molestie.
I numeri che abbiamo riportato poco sopra raccontano come le numerose campagne messe in atto soprattutto in prossimità del 25 novembre, la giornata internazionale per l’eliminazione di ogni forma di violenza contro le donne, non siano sufficienti ad abolire quella particolare forma di violenza che è rappresentata dalle molestie sul luogo di lavoro e che vede, loro malgrado, ancora principali protagoniste le donne.
Oltre a ciò, raccontano anche come nelle maggior parte delle aziende italiane manchino – tutt’oggi – strumenti concreti di tutela e di prevenzione da quelle forme di discriminazione, nelle quali le molestie rientrano a pieno titolo, che incrinano il benessere aziendale.
Cosa può fare un imprenditore per contrastare i fenomeni di violenza di genere, di discriminazione, tenuto altresì conto che in capo all’imprenditore è posto ex lege un vero e proprio obbligo di tutela delle condizioni di lavoro in cui versano i propri dipendenti?
Molto.
Sotto il profilo della consapevolezza / riconoscimento del problema, occorre trarre le mosse da un dato normativo e, nella specie, dalla definizione mutuata dalla Direttiva UE 2006/54/CE, di cosa sia ‘molestia’: tali sono tutti quei comportamenti indesiderati posti in essere anche per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio.
Le molestie possono, dunque, essere di tipo ambientale, psicologico oltre che sessuale e, come detto sopra, sono una forma di discriminazione.
Se, quando parliamo di molestia sessuale, la percezione della lesione della dignità altrui ci risulta più evidente, la stessa cosa non può dirsi delle molestie verbali che spesse volte non vengono colte nella loro gravità allo stesso modo. Qui si apre un tema molto complesso, che è quello della verbalizzazione della violenza quale conseguenza, spesso inconscia, dell’adesione ad una educazione a ruoli di genere stereotipati ovvero ad un linguaggio sessista.
Non è inusuale che queste situazioni non vengano percepite in maniera unanime e diffusa come discriminazioni, non vengano quindi gestite e portino all’allontanamento del dipendente ovvero, quando il dipendente non ha modo di allontanarsi, al progressivo deterioramento dell’ambiente lavorativo, finendo per impattare anche sul risultato economico dell’azienda.
Dal punto di vista degli interventi concreti e delle azioni positive che l’imprenditore può adottare, v’è la nomina di un/una consigliera di fiducia, che, sostanzialmente, è una sentinella delle situazioni di disagio lavorativo ovvero di discriminazione.
Chi è il/la Consigliere/a di fiducia?
E’ colui/colei che, pur nominata dall’azienda, resta un consulente esterno – dunque senza vincoli di subordinazione – a cui i dipendenti possono rivolgersi, allorquando si sentano vittime di situazioni di molestia o discriminazione.
Le sue caratteristiche sono quelle della terzietà, riservatezza, autonomia e indipendenza di giudizio, nell’esercizio del ruolo di assistenza, consulenza e prevenzione che le sono propri.
Svolge attività di ascolto verso i lavoratori, fornendo consulenza qualificata per la risoluzione dei conflitti, e conducendo parallelamente attività di monitoraggio, rilevamento ed intervento in situazioni di malessere organizzativo.
Ancor più, in sinergia con gli organismi interni all’impresa deputati a favorire la cultura della parità e la valorizzazione del benessere di chi lavora, svolge attività di informazione/formazione e sensibilizzazione sui temi del disagio lavorativo, promuovendo l’adozione di politiche ed azioni di prevenzione e contrasto della violenza psicologica, della discriminazione e delle molestie sessuali e morali con il fine di favorire un ambiente di lavoro sano, rispettoso e inclusivo.
La figura del consigliere di fiducia, che è già largamente operativa nelle realtà pubbliche, è ancora pressoché sconosciuta nel mondo della imprenditoria privata, che tuttavia – come testimoniano i dati ISTAT – non è esente da tutte quelle situazioni di disagio lavorativo, che scaturiscono da molestie sul luogo di lavoro.
La sua introduzione anche nelle aziende private, pur allo stato facoltativo, potrebbe costituire un contributo reale e tangibile, un’azione positiva, al cambiamento culturale nella battaglia contro la violenza di genere anche sul luogo di lavoro, oltre che un utile strumento per il conseguimento o il mantenimento delle certificazioni per la parità di genere.